Bologna città di un nuovo welfare

Intervento di Elisabetta Gualmini - 15 maggio 2012

Bologna vanta una tradizione di eccellenza nel campo dei servizi sociali, non solo in regione, ma in tutta Italia. Una città in cui i primi asili nido, fondati nel 1970, consentirono alle donne di lavorare di più e in condizioni migliori che nel resto d’Italia, una città in cui il sistema sanitario nazionale si impose sin dai primi anni Ottanta come meta di migrazione da parte di quote consistenti di cittadini delle regioni del Centro-Sud, una città in cui l’attenzione agli anziani e alla popolazione in condizioni di svantaggio è sempre stata, prioritariamente, imprescindibile.

Secondo quella “impellenza del fare” che vuol dire dare risposte secche, celeri ed efficaci a problemi concreti, via via che questi si presentano, senza rinvii, senza tentennamenti o cedimenti, ma con un pragmatico spirito di collaborazione tra tanti.

Oggi il contesto economico è mutato. Averne consapevolezza è un dovere. Gestire il presente con gli occhi rivolti all’indietro, con nostalgia e rimpianto per non poter più “disporre di molto” non è invece un diritto.

Il tasso di invecchiamento corre velocissimo in città. E, alla pari, l’indice di dipendenza della popolazione anziana da un segmento di cittadini giovani, a loro volta sempre più fragili e vulnerabili, che fanno fatica a trovare un lavoro stabile e remunerativo. L’offerta pubblica per la prima infanzia e per la formazione pre-scolare non risulta da tempo sufficiente per coprire la domanda di iscrizione da parte delle famiglie e gli insegnanti con contratti in scadenza temono per il loro futuro. Ci troviamo dunque in una situazione paradossale. Una città che rischia di rimanere schiacciata tra due generazioni, i bambini e gli anziani, così distanti anagraficamente, così vicine per il disagio che le accomuna. Col rischio che se ci si affretta a tamponare la sofferenza dell’una si va (incredibilmente) a scapito dell’altra.

Il Piano Strategico Metropolitano è un’occasione irripetibile per trovare nuove risposte a questi problemi. Per scovare nuove idee là dove sembra che non vi sia più fiato per nulla. Per dare le gambe a un progetto innovativo sul welfare cittadino, creativo ed energico, frutto dello sforzo di tutti. Il dialogo reciproco tra istituzioni pubbliche e soggetti privati, storicamente una costante nella nostra città, deve essere rinvigorito e riavviato. Senza timori. Scopriremo così che non sarà più impossibile pensare a imprese che progettano insieme servizi per anziani e bambini a favore di tutta la collettività, ad associazioni e cooperative che integrano l’offerta di servizi pubblici con prestazioni sanitarie, previdenziali o per la cura familiare. Il discorso sul welfare ha bisogno di un nuovo lessico, di un nuovo repertorio di soluzioni e di uno spirito civico rimodellato. “Thinking out of the box”, dicono gli anglo-sassoni: pensare “fuori dalla scatola”, sfuggire dagli schemi convenzionali. Il PSM è il luogo dove questo salto di qualità dovrà necessariamente compiersi.